Denise Pipitone e la giustizia: 9 anni buttati via
Denise Pipitone scompare nel nulla il 1 settembre del 2004. A Mazara del Vallo è un mezzogiorno di fine estate, con il sole che brucia le strade, le porte socchiuse e poca gente in giro. Denise è in via la Bruna, a casa della nonna, gioca davanti all’uscio mentre aspetta di pranzare: ormai manca poco, ancora pochi colpi di mestolo e la pastasciutta sarà in tavola, come tutti i giorni. Per Denise giusto il tempo per fare ancora qualche passo, assaporare quella voglia di indipendenza e di libertà che accomuna tutti i bimbi della sua età. Ad un adulto ci vogliono trenta passi per raggiungere l’angolo e svoltare, per una bimba qualcuno in più, ma nel suo caso fanno la differenza tra una vita felice e serena ed una piena di incognite e paure. Qualcuno sostiene, tra la vita e la morte.
Bastano quei maledetti trenta passi e altrettanti secondi per ingoiare nel nulla Denise. La nonna si accorge subito che qualcosa non va, che Denise non è più davanti a casa. Esce e la cerca, disperata. Ma della bimba non c’è traccia.
Parte la macchina dei soccorsi,con i soliti ritardi e le lungaggini burocratiche. Se all’estero sparisce una bimba si muovono i reparti speciali, adeguatamente addestrati e altrettanto adeguatamente equipaggiati. Da noi nella migliore delle ipotesi si deve smuovere l’appuntato della stazione che comincia a girare con la sua Fiat Uno di servizio. E intanto le ore passano, e con loro la speranza di trovare Denise, sparita nel nulla come altre prima di lei: il pensiero corre subito ad Angela Celentano, più indietro con gli anni a Emanuela Orlandi.
Il 1 settembre 2004 è un mercoledì, e in paese è giorno di mercato. Qualcuno accusa gli zingari, sicuramente sono stati loro a rapire Denise. Stranieri, venuti da fuori a caccia di bambini da rivendere. Molti si chiudono in un totale silenzio, altri sussurrano, voci, mezze verità buttate lì a metà tra il pettegolezzo e la voglia di aiutare. Denise è figlia di una relazione extraconiugale, cercate in famiglia i colpevoli, non sbagliate di sicuro. Qualcuno ha voluto vendicarsi, cancellare il “frutto della colpa”, liberarsi di una presenza scomoda, di un pericolo per la propria famiglia, per l’eredità.
Denise ha una sorellastra, Jessica Pulizzi, diciassettenne fidanzata con Gaspare Ghaleb. Gli investigatori decidono di sentire i due, o almeno ci provano. Già perché Jessica è una sfinge, muta e silente. Non proferisce verbo, non dice una parola. Quando incontro il suo avvocato provo a chiedere conto del comportamento della sua assistita: che diamine, è pur sempre la sua sorellina che è sparita, una bimba di 4 anni. Se non ha nulla da nascondere, perché avvalersi della facoltà di non rispondere? Il suo avvocato mi guarda con l’aria di quello che la sa lunga, e la risposta è da manuale.”Perché lo prevede la legge, nulla di strano”. Già, proprio così. Sulla sua cliente indaga il Tribunale per i minorenni, e la ragazza è tutelata proprio secondo la legge.
Eppure qualcosa che non convince c’è, e i magistrati la iscrivono nel registro degli indagati.
Mentre aspetta in caserma in compagnia della madre gli investigatori intercettano una sua frase che così viene tradotta: “l’ho portata a casa io”. La ragazza viene messa sotto torchio e nel corso di un drammatico interrogatorio sostiene che al momento della scomparsa di Denise si trovava lontano dal luogo della scomparsa della sorellina. Ma il suo cellulare la smentisce e la colloca nelle vicinanze. Non solo: sempre le tracce lasciate dal suo cellulare indicano che immediatamente dopo si è spostata fuori Mazara ed è rientrata in paese un’ora dopo. E’ minorenne, non si può fare altro.
Ma perché Jessica dice il falso? Dopo 9 anni di indagini il pm che indaga non ha dubbi: è lei che ha rapito Denise e chiede il massimo della pena, 15 anni. I giudici rispondono picche, assolvendola e condannando invece il suo ormai ex fidanzato, Gaspare Ghaleb per falsa testimonianza a 2 anni contro i 5 chiesti dall’accusa.
Già, Gaspare Ghaleb. Lui, al contrario di Jessica, con gli investigatori ha parlato, e anche a lungo. E’ proprio durante uno di questi interrogatori parla, nel tentativo fornire un alibi alla sua ragazza, poi cade in contraddizioni. Tante, troppe. Come visto alla fine sarà l’unico ad essere condannato. Resta la domanda: perché ha mentito?
Ancora una volta, nella vicenda di Denise nei mesi e negli anni a venire non ci facciamo mancare nulla. Messe nere, servizi segreti, anche l’ex marito di Anna Oxa, l’imprenditore svizzero di origine kosovara Bahgjet Pacolli,si offre di indagare nel mondo dei nomadi, degli zingari. Dopo tre mesi di silenzio scompare anche lui nel nulla, non prima di aver pronunciato poche parole destinate a lasciare il segno: Denise cercatela a Mazara del Vallo.
Non finisce qui: ad un certo punto si fa avanti la solita maga, sensitiva e non mancano ovviamente gli avvistamenti, un po’ ovunque. In qualche caso la somiglianza è sorprendente. In altre si tratta solo della solita voglia di comparire,nelle migliore delle ipotesi (come prima) di aiutare. La realtà è che di Denise non c’è alcuna traccia, scomparsa nel nulla.
Al culmine della tensione, mentre con grande coraggio la mamma di Denise, Piera Maggio, fa il giro delle trasmissioni per chiedere che le indagini proseguano e che si continui a cercare sua figlia, compare sulla scena tale Giuseppe D’Assaro, già coniugato con Rosaria Pulizzi madre di Jessica e detenuto per un omicidio, che racconta circostanze apprese in carcere. Secondo D’Assaro Denise sarebbe stata rapita da Jessica e portata a casa di Rosaria Pulizzi e quindi uccisa da una dose eccessiva di tranquillanti. Il corpo della bambina sarebbe quindi stato conservato per qualche tempo in un congelatore e infine buttato in mare al largo di Palermo. Una versione, questa, lacunosa e contraddittoria cui la mamma di Denise e il suo avvocato non hanno mai creduto.
Nove anni dopo la scomparsa della piccola Denise la giustizia italiana emette il suo solito verdetto lacunoso. Condanna Gaspare Ghaleb a 2 anni per aver detto il falso ma non spiega il perché. E assolve Jessica Pulizzi perché le prove, contro di lei, non vanno oltre il ragionevole dubbio. Nessuno prova nemmeno a spiegare il perché delle bugie, del falso alibi. Un mistero, così come un mistero resta la sparizione di Denise.
A Piera Maggio non resta che sperare nel processo d’appello. La sua battaglia continua.