Preiti, un pazzo che non convince
Ricapitoliamo: Luigi Preiti, disoccupato 49enne costretto dopo il divorzio a lasciare la moglie e il figlio di 11 anni ad Alessandria e tornare a in Calabria a vivere con i genitori parte da Gioia Tauro alle 9 e mezza di sabato. La sua destinazione è Roma, ma non è certo un giro turistico che ha in mente. In tasca ha una mappa della città con il percorso dall’albergo che ha scelto segnato in tre punti ma soprattutto una pistola Beretta 7,65 con la matricola abrasa. Agli investigatori dirà che l’ha comprata quattro anni prima a Genova, ma c’è un particolare (una coincidenza?) che non convince. Nella sua borsa c’è anche una punta di trapano, che per gli investigatori potrebbe essere proprio l’attrezzo con cui Preiti ha punzonato la matricola mentre si preparava all’attentato.
Di lui si sa ancora poco. Vittima del demone del gioco, senza soldi e lavoro, ammette di fare uso di cocaina, sia pur saltuariamente. Inizialmente sostiene di non poter più vedere il proprio figlio, e questo è vero ma solo fino ad un certo punto. Che non possa mantenerlo è certo (certi vizi, gioco e cocaina sono sicuramente costosi) ma in quanto a vederlo pare più una sua scelta. E’ lo stesso bambino che racconta di averlo visto in occasione della sua prima comunione, l’anno scorso e in seguito per le vacanze estive. Il perché di questi mesi di lontananza si può solo immaginare.
Ad ogni modo quando alle 15 arriva alla stazione Termini Preiti Luigi Preiti si dirige verso l’Hotel Concorde, sale in stanza ma quasi subito esce per rientrare verso le 18 e quindi restarci fino alla mattina successiva. Cosa abbia fatto in quel lasso di tempo si può solo ipotizzare: un sopralluogo oppure ha visto qualcuno, magari la stessa persona che gli ha fornito mappa e indicazioni?
Dall’albergo Preiti esce la domenica mattina, elegante. Paga il conto senza fare colazione e si dirige verso Palazzo Chigi. Giacca e cravatta gli servono per passare inosservato. In fondo, l’abito fa il monaco, lo sanno tutti. Prova per due volte a forzare il varco, ma viene sempre bloccato. Riesce ad aggirare la piazza e arriva di fronte a Montecitorio, sbucando di fronte alla garitta dei carabinieri che lo fermano per la terza volta. La sua reazione è immediata, imprevedibile e al contempo estremamente razionale. Estrae la pistola, prende la mira e spara mirando alle parti del corpo non protette dal giubbotto. Agli investigatori dirà che non voleva uccidere, di certo la sua mira, grazie anche alle due settimane di addestramento nelle campagne calabresi, hanno dato buoni frutti. A terra rimangono due carabinieri, uno gravemente ferito. Preiti ha ancora 9 proiettili nella sua borsa, ma non fa in tempo a ricaricare l’arma e viene bloccato. Invoca subito la morte ma quando poteva farlo non compie nessun gesto che possa far pensare ad una volontà suicida. Poi afferma che non voleva far male a nessuno, solo ammazzare un politico, magari proprio un ministro, uno di quelli colpevoli di fare la bella vita mentre lui era finito senza soldi e lavoro. Rimane ancora un dubbio da chiarire: se decide di agire nel giorno più difficile e presidiato da polizia e carabinieri è perché davvero nel suo mirino c’è un membro del governo. Possiamo davvero credere che fosse in grado di riconoscerli? Perché non colpire in un giorno qualunque, quando i parlamentari entrando ed escono tranquillamente dai palazzi del potere?
Condivido, con questo commento, alcune mie perplessità. Entrare nelle logiche di un’altra persona è impossibile. Tuttavia, mi viene naturale chiedermi come possa aver organizzato tutto… tranne l’epilogo. Mi spiego: se parti con l’intenzione di sparare con una pistola a dei militari armati, non puoi tenerti 9 proiettili in tasca. Quando mai riusciresti a ricaricare la pistola? Forse, nascosto dietro una colonna, mentre ti sparano, come in film? Se fosse stato un gesto da kamikaze (sperando, quindi, di essere colpito e finire follemente in tragedia) perché avere munizioni di scorta? Pensare a teorie del complotto è forse troppo. Oltretutto (e purtroppo) ci sono due feriti, di cui uno in gravi condizioni. Ma non mi stupirei se si scoprisse che qualcuno lo ha portato a fare ciò che ha fatto. E con questo non diminuisce la sua responsabilità, sia chiaro. Rivolgo un pensiero ai due feriti e alle loro famiglie.