Nell’Italia delle escort prostituirsi a 15 anni è normale
A quanto pare nell’Italia delle escort anche prostituirsi a 15 anni viene tutto sommato considerato normale, una valida alternativa a studiare e lavorare. Se poi si ha più di 18 anni ecco che l’attività di prostituta è persino vista quasi con simpatia.
L’ultima stronza (perdonatemi la volgarità) che si è guadagnata un posto al sole e un pizzico di notorietà è una presunta aspirante laureanda da 110 che non sapendo come comprarsi un motorino nuovo e avendo probabilmente poca voglia di rimboccarsi le maniche ha preferito spogliarsi del tutto e offrire foto hard in cambio ovviamente di soldi. Vero o falso che sia il profilo facebook che ha creato, di fatto ha subito ottenuto il risultato di far parlare giornali e televisioni di questa sua attività imprenditoriale che, sono certo, in futuro ad espandere la sua creatività oltrepassando il confine virtuale per una più terra terra ma redditizia tradizionale attività.
Mary, questo il suo presunto nome, non è che l’ultima cattiva maestra che ogni giorno offre gratuitamente i propri esecrandi servigi ai nostri figli, grazie alla complicità spesso morbosa e altrettanto diseducativa dei mezzi di informazione che finiscono con l’amplificare ed esaltare comportamenti che andrebbero invece censurati e condannati all’oblio.
Una vera e propria scuola di vita sprecata e umiliata alla quale i ragazzi oggi finiscono con l’essere iscritti loro malgrado e di fronte alla quale non sempre i genitori riescono a far fronte. Con risultati spaventosi che lentamente e faticosamente emergono dalle indagini degli investigatori. Come quelle che hanno portato alla scoperta in provincia di Lecco di una quattordicenne che per diventare popolare tra i suoi compagni di scuola offriva prestazioni sessuali nei bagni a 2 euro e 50, a detta della scuola mai consumati ma di certo ampiamente reclamizzati anche grazie ad una pagina facebook gentilmente offerta dalle compagne di classe della ragazzina.
Per non parlare della vicenda delle ragazzine che si prostituivano ai Parioli.
Spregiudicate, libere e disposte a tutto pur di fare soldi in fretta: così i giudici romani le descrivono. Ragazzine (ben) disposte ad andare con chiunque pur di garantirsi la borsa firmata, il passaggio in taxi e il fine settimana (sic!) a Ponza. Ragazzine che agivano, sfruttate dai soliti mostri, non per fame ma per fama, per la voglia di essere guardate, ammirate, invidiate, alla faccia di quelle pezzenti delle loro madri (una per la verità si è adattata in fretta ai benefit derivanti dall’avere come figlia quindicenne una prostituta) e compagne di scuola costrette ad una anonima vita fatta di sacrifici e rinunce.
Inutile tentare pindarici giri di parole, inutile cercare di cogliere nei loro racconti la consapevolezza della gravità delle loro azioni e del degrado spaventoso che le aveva investite e travolte fino ad annullarle. Difficile persino ricordarsi, come doveroso, che di vittime trattasi per la loro giovane età e perché i minori devono essere protetti da tutto e da tutti, in primis loro stessi. Difficile, ma doveroso, provare simpatia e affetto per queste ragazzine la cui preoccupazione oggi è di non riuscire a tornare ad usare l’autobus come le loro coetanee lasciando il taxi a chi i soldi se li guadagna onestamente.
Già perché la ragazzine dei Parioli di Roma come quelle delle “docce di Milano” sono il frutto malato di una società che ha fatto dei valori morali e dell’educazione una sorta di zavorra di cui prima ci si libera meglio è. L’abbiamo detto tante volte: siamo un Paese di furbi dove chi rispetta le regole è uno sfigato, dove chi trasgredisce sa di poterla fare franca a patto di potersi pagare un buon avvocato, un Paese dove l’immagine è tutto e la sostanza niente, che trasforma mignotte e zoccole (brutte parole per descrivere un brutto lavoro) in “escort”, che fa tanto chic e sembra persino un’attività di cui andare fieri.
Non ci crede? Provate voi stessi. “Ciao, mi chiamo Deborah e faccio la mignotta”. “Ciao, mi chiamo Deborah e sono una escort”. Tutta un’altra cosa, minimo ti si spalancano le porte degli studi televisivi se hai un po’ di fortuna e riesci a beccarti almeno un vip tra i tuoi clienti.
Non c’è genitore al mondo degno di questo nome che non si sia posto almeno una volta la domanda “Conosco veramente mio figlio?”. Una domanda che negli ultimi tempi abbiamo imparato a porci molto di frequente, tutte le volte che la cronaca ci sbatte in faccia una realtà che fa orrore, e che racconta di bambine che si trasformano in prostitute e ragazzini in stupratori e aguzzini, figli violenti e spregiudicati di cui spesso i genitori ignorano completamente l’esistenza prima negando la gravità di fatti ed azioni poi.
Genitori spesso inconsapevoli e incapaci di reagire, delegittimati e privati (o auto privatisi) di quegli strumenti educativi che una volta contribuivano quantomeno a radicare nelle giovani menti la consapevolezza della differenza tra bene e male, onestà e disonestà, onore e vigliaccheria.
Occorre cambiare rotta, e in fretta, abbandonando i cattivi maestri e costringendo scuola, famiglia e informazione ad un ruolo più responsabile e presente nella vita dei giovani. Se non vogliamo trovarci tra vent’anni nel Paese in cui si canta, si mangiano spaghetti e si suona il mandolino. Dove la gente dice una cosa e ne fa un’altra (citazione Paolo Villaggio). E dove la morale e la dignità si possono facilmente comprare con poche decine di euro o magari con una bella raccomandazione.
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