Motta Visconti Il mostro tra di noi
Se il Diavolo non esiste, se il Maligno è solo un’invenzione, allora ancora una volta la realtà ha superato la fantasia. In questi anni ho visto e raccontato storie terribili, omicidi efferati, ogni sorta di aberrazione, ma mai, e dico mai, mi sono trovato di fronte ad un uomo come Carlo Lissi, l’uomo che la notte scorsa Motta Visconti nel milanese ha accoltellato prima sua moglie Cristina e subito dopo le sue due creature, una bimba di 5 anni e un bimbo di 2. Meno di quarant’anni in tre, tre vite spezzate e spazzate via senza nessuna esitazione. Non c’è neppure “l’attenuante” del raptus, nessuna litigata e nessun elemento scatenante. Accade tutto sabato sera quando i bambini dormono e l’Italia del calcio si prepara a tifare per gli azzurri. Marito e moglie sono sul divano, sembrano una coppia felice, fanno sesso (scusate, non ci provo neppure a scrivere “fanno l’amore”) poi lui si alza, è ancora in mutande. Prende un coltello e comincia a colpire la moglie, ripetutamente, senza pietà. Cristina non capisce, cerca di farlo ragionare. Ma lui è spietato, la finisce sgozzandola. Poi tocca ai bambini, con loro è più facile. Li sorprende nel sonno, taglia la gola anche a loro. Nessuna pietà, nessun sentimento umano alberga più in quell’uomo che, in mutande e coperto di sangue, tiene in mano il coltello con il quale ha sterminato la sua famiglia. Tutte le volte che guardo mio figlio Daniele, che ormai ha sei anni, mi ricordo l’emozione che mi ha assalito la prima volta che l’ho preso in braccio, e via via tutte le volte che, crescendo, mi ha guardato, sorriso, stretto la mano, chiamato papà… Chissà se almeno per un istante Carlo Lissi ha ripensato a quel tempo in cui era ancora un’essere umano, e i suoi figli li faceva volare in alto, fingendo di farli cadere nel vuoto solo per sentire le loro grida di gioia mentre atterravano tra le forti braccia del loro papà. Le stesse braccia che un sabato sera hanno tolto loro il bene più grande e prezioso, quello per i quale noi tutti genitori siamo sempre pronti a qualsiasi sacrificio. Quando tutto è finito, quando Cristina Giulia e Gabriele hanno smesso di vivere quello che una volta era un essere umano ma che ora non è altro che un mostro uscito dagli incubi più terribili si è lavato accuratamente, preparandosi per uscire. Ha messo in disordine casa, tanto per simulare la rapina, e poi si è tranquillamente recato in un pub, per vedere la partita. Ha gioito come molti di noi per i goal dell’Italia, ha bevuto e scherzato con gli amici, e infine è tornato a casa, da Cristina Giulia e Gabriele, da quella che era la sua famiglia. Ha ritrovato i corpi ormai esangui dove li aveva lasciati, ha lanciato loro un ultimo sguardo e poi ha chiamato i carabinieri. Ma la sua storia è durata poco. Chissà se i militari dell’Arma si sono accorti che nei suoi occhi non c’era più un barlume di umanità. Chissà se si sono accorti, carabinieri e magistrati, che quella cosa che avevano davanti non era più un essere umano ma un mostro. Spietato, feroce, privo di cuore e sentimenti. La domanda più difficile che tu possa fare ad un mostro, è la prima che ti viene in mente, ed è anche la più difficile da accettare. “Perché?”. “Volevo rifarmi una vita con una collega che non mi prendeva in considerazione perché avevo già una famiglia”, ha detto il mostro. Già, la famiglia. Un ostacolo da rimuovere e da immolare sull’altare della sua felicità. Che ci crediate o no sabato sera sono stato a cena da Osvaldo Vanessa e Carlotta, quest’ultima una bellissima bimba compagna di classe di Daniele, e dal momento che i bimbi sono ancora piccoli siamo tornati a casa prima delle 11. Appena a casa ci siamo accorti che il vento aveva rovesciato la grande pianta di alloro davanti alla nostra finestra dove una coppia di merli ha fatto il nido che contiene i tre uccellini protagonisti di un video sulla mia pagina Facebook. Ovviamente siamo rimasti tutti e tre malissimo, e mentre Sara e Daniele mi guardavano dalla finestra sotto un acquazzone terribile sono uscito in giardino per cercare di raddrizzare la pianta, pronto al peggio. Con il cuore in gola mi sono avvicinato al vaso rovesciato (fortunatamente non del tutto ma appoggiato alla ringhiera di fronte) e con una torcia ho illuminato il nido, temendo di trovarlo ormai vuoto. Non dimenticherò mai, per tutta la mia vita, la scena che mi si è parata davanti. La mamma (riconoscibile per il piumaggio marrone) proteggeva i suoi piccoli come se stesse ancora covando le uova a dispetto della pendenza del vaso e soprattutto della mia presenza. Non si è mai mossa, neppure per un istante, e così ha fatto anche quando ho cominciato ad armeggiare per raddrizzare il vaso arrivando con le mie mani a pochi centimetri dal nido. Si è limitata a guardarmi, con i suoi rotondi occhietti, quasi a sfidarmi dal toccare i suoi piccoli. Sono pronto a scommettere che avrei persino potuto toccarla, forse prenderla, ma non mi avrebbe mai permesso, per quanto in suo potere, di far del male alla sua nidiata. Una volta rientrato a casa, dopo aver rassicurato Daniele sulla sorte dei suoi uccellini (Lampo, Tuono e Fulmine e Saetta) ho raccontato a Sara della determinazione della nostra mamma merlo. “E di cosa ti meravigli”, mi ha risposto serafica. Miracolo della natura e dell’amore. Nello stesso istante invece, a pochi chilometri di distanza, il mostro portava a termine il suo piano spietato. Adesso Carlo Lissi invoca per sé il massimo della pena. Qualcuno invoca per lui una pena che non c’è. Personalmente gli auguro una vita lunga, lunghissima, fatta di ricordi e di sogni. Sogni terribili, di quelli che fanno paura anche ai mostri.
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