Massimo Bossetti Il presunto assassino della porta accanto
E adesso, come al solito, tutti a dire che quel Massimo Bossetti, presunto assassino della piccola Yara Gambirasio, sembrava una persona normale. Uno dei tanti vicini di casa, perbene e tranquillo, un bravo ragazzo lavoratore con tanto di famiglia modello, moglie e tre figli, che tutto poteva sembrare tranne che un violentatore e assassino di ragazzine.
Ci sono voluti quattro anni di indagini, decine di migliaia di profili genetici comparati per arrivare a questo bravo ragazzo della porta accanto, che appena arrestato, come ogni bravo ragazzo che si rispetti, ha prima negato e poi si è trincerato dietro il più comune dei luoghi comuni, dietro quella facoltà di non rispondere che sovente cela una colpevolezza sin troppo palese.
Ad incastrarlo l’ultima analisi effettuata su sua madre, ottantenne di Clusone, che da ragazzina ha avuto una relazione con l’ormai famigerato (senza colpe se non quella di essere un fedifrago) Giuseppe Guerinoni, già autista di autobusdi Gorno con la passione per le ragazze, tanto da aver collezionato almeno tre amanti in una valle dove di solito tutto sanno tutto di tutti e un segreto può durare anche quarant’anni, come in questo caso, ma alla fine, presto o tardi, viene fuori. E allora sono dolori, specialmente se ti chiami Massimo Bossetti e il 26 novembre del 2010, dopo verosimilmente una giornata trascorsa in cantiere, hai pensato bene di dare un passaggio da una ragazzina di 15 anni, Yara Gambirasio, la cui unica colpa è quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Occhi di ghiaccio, quelli di Massimo Bossetti, e nervi d’acciao. In tutti questi anni impassibile a leggere, e magari commentare al bar con gli amici, le notizie delle indagini che lentamente stavano portando gli inquirenti verso di lui, verso le prove della sua colpevolezza. Tutta colpa di quella macchie sulle mutandine della piccola Yara, di quel maledetto Dna, e della testardaggine degli investigatori che proprio non volevano saperne di mollare il colpo.
E così via, anno dopo anno, tassello dopo tassello, un puzzle che lentamente andava componendosi, il cellulare che lo posizione sul luogo del delitto, la sua professione (muratore) che spiegherebbe del perché delle tracce di gesso e polvere sul corpo della bambina. Fino al momento dell’arresto. Sono le 18 di lunedì, la scuola è finita da pochi giorni e i suoi figli si stanno preparano ad un’estate spensierata, come tutti i bambini dovrebbero poter fare. Massimo Giuseppe Bossetti (in onore del padre naturale?) trova il tempo per postare qualche foto sul suo profilo. Le sue figlie ma soprattutto i suoi animali. Foto di cuccioli, presi da internet, e di animali domestici. Cani, gatti, conigli. Qualche barzelletta sui carabinieri, la solita massima spiritosa sul perdonare i propri nemici e passarci sopra (letteralmente, con una schiacciasassi), l’immancabile pin up prosperosa. Un sito quasi normale, di un padre quasi normale, di un bravo ragazzo che non dava fastidio a nessuno, che non litigava con i vicini per la spazzatura o per la macchina parcheggiata sul vialetto d’ingresso. Uno che “veniva da fuori”, ossia da Mapello, un paese a poche decine di chilometri da Clusone, formalmente in un’altra valle, per sposa una ragazza del posto e poi tornarsene a casa, a Mapello, località accanto a Brembate dove la sua storia si è tragicamente fusa con quella di un’altra famiglia, i Gambirasio, e con quella della loro piccola, Yara.
In tutto questo chissà se la moglie, in tutti questi anni, ha mai avuto il sospetto almeno una volta, che dietro quegli occhi azzurri si potesse celare l’assassino della piccola Yara. Già, chissà.
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