Roberta Ragusa, rischio archiviazione
Ancora sette mesi di indagini, ancora sette mesi di interrogatori, intercettazioni, riscontri e analisi dei reperti. Poi tutto sarà finito. Nei film polizieschi di serie b uno dei protagonisti direbbe con un pizzico di rammarico o di soddisfazione, a seconda dei casi, “il caso è chiuso”. Senza un colpevole, senza che Roberta sia stata trovata (ma c’è ancora qualcuno che crede che sia viva?) senza che giustizia sia stata fatta.
Archiviazione, un modo per dire siamo impotenti di fronte agli eventi (e fa anche rima, purtroppo), un modo per ribadire che in Italia se hai la fortuna (o sfortuna) di capitare con il poliziotto sbagliato o il giudice distratto puoi anche dimenticarti di avere giustizia.
Non hanno portato a nulla, come purtroppo era prevedibile, le ultime analisi fatte dai Ris sulle vetture in uso al Logli e alla sua amante. Ammesso e non concesso che qualcosa ci fosse (lo ribadisco, ammesso e non concesso) un anno è un termine assai lungo per sperare di poter trovare su di un’auto o un furgone traccia della presenza di una persona. Così come due mesi sono un periodo infinito per cominciare ad indagare seriamente sulla scomparsa di una persona che non aveva motivi per scomparire.
Già, qualcuno potrebbe ribattere che si tratta del famoso “senno del poi”, di quel male italico del voler commentare e criticare l’operato degli altri solo quando i fatti sono compiuti o, più prosaicamente, redigere la formazione vincente dell’Italia all’indomani di una sconfitta. Eppure, a costo di sembrare arroganti, nel caso di Roberta Ragusa i segnali inequivocabili di essere alla presenza di un assassinio e non di un allontanamento volontario erano fin troppo visibili sin dall’inizio.
Antonio Logli, un marito distratto dotato di amante storica che dorme tranquillamente senza accorgersi che la moglie sparisce e si pone qualche domanda neanche la mattina dopo ma solo a giornata inoltrata, Roberta Ragusa, una moglie tradita sotto gli occhi di tutti, madre di due figli piccoli che decide di cambiare vita e far perdere le proprie tracce fuggendo di casa in pigiama, senza soldi, macchina, telefono, nel cuore di una delle notti più fredde dell’anno. O, nell’ipotesi più drammatica, di togliersi la vita (scomparendo nel nulla) senza nemmeno prendersi la soddisfazione di scrivere un biglietto al marito (lascio a voi immaginarne il contenuto) o una parola per i figli.
E ancora una famiglia, quella d’origine del Logli, molto unita e compatta (con il bell’Antonio, ovviamente), che della scomparsa di Roberta sembra aver sofferto il meno possibile ed essersene fatta una ragione a tempo di record, a dispetto della tragedia che forse non il marito ma sicuramente i figli stavano vivendo.
Tutto inutile, tutto relativo. Con gli inquirenti che, settimana dopo settimana prendevano tempo, organizzavano (sulla carta) spedizioni e battute ad ampio raggio. Vagheggiando dell’impiego dell’esercito e di mezzi aerei che venivano rimandati senza una spiegazione, quasi con l’arroganza di chi ha la soluzione in tasca ma non la vuole ancora mostrare al mondo intero.
La verità è che Roberta nessuno l’ha cercata davvero, e quando si sono finalmente decisi a farlo, era troppo tardi. Complice un terreno carsico, con molte grotte e anfratti e un’ampia zona boschiva e corsi d’acqua con forti correnti, di Roberta ancora oggi non c’è traccia. Alla faccia (pardon, naso) dei soliti cani molecolari.
Ci sono anche i super testimoni, come in ogni caso irrisolto che si rispetti. La mamma di una compagna di scuola dei figli di Roberta, che si presenta ai carabinieri con la soluzione del caso. “Ho visto Roberta”, dirà a beneficio dei giornalisti, “entrare nello studio di un avvocato”. L’euforia dura lo spazio di un pomeriggio: i giornalisti arrivano prima dei carabinieri e scoprono che una collaboratrice dello studio in effetti assomiglia (vagamente) a Roberta. La cameriera di una stazione di servizio che racconta di una donna in pigiamo rosa e scarpe bianche che, la notte della scomparsa di Roberta, entra nel bagno e ne esce completamente vestita per salire sull’auto di un uomo. Gli investigatori non perdono tempo e rintracciano il sospetto. Ha un piccolo precedente per possesso di coltello, viene descritto come un tipo strano, uno di quelli che la notte la passa in giro a fare chissà cosa. Ma su di lui i sospetti cadono in fretta. Con la sparizione di Roberta non c’entra nulla.
Negli ultimi mesi un giostraio, tale Loris Gozi, si presenta dagli investigatori con la sua verità, ripetuta in queste ore anche durante l’incidente probatorio richiesto dal Gip. Gozi afferma di aver visto Logli, la notte della sparizione della moglie, in auto intorno all’1 di notte. Non solo, avrebbe anche assistito ad un litigio tra un uomo (Logli?) e una donna (Roberta?) avvenuto in strada. Erano proprio loro? Gozi ne pare certo. Il Logli ribadisce di non essere mai uscito di casa quella notte.
E ancora una collega che afferma di aver visto fazzoletti sporchi (di sangue?) in un furgone in uso al Logli (che aveva affermato di non usarlo da tempo in quanto rotto). Agli inquirenti si accende una lampadina, indagano l’amante del Logli, Sara Calzolaio e il padre, Valdemaro Logli, per favoreggiamento.
Troppo tardi? Di fatto le indagini dei Ris e non rilevano alcuna traccia utile.
E intanto il tempo passa, veloce. L’archiviazione è ormai prossima.
Giustizia non è fatta.